Ciò che è importante per me, cioè ciò che se non ci fosse, la mia vita avrebbe meno senso sono:
- mia figlia
- la mia famiglia
- studiare, imparare a conoscere me stesso e il comportamento umano
- viaggiare
- il “gliding“, cioè quella sensazione di scivolamento e di equilibrio precario tra il movimento senza sforzo e la fine rovinosa (può essere nella forma di cavalcare le onde su una tavola da surf, planare con una barca a vela, sciare, ondeggiare con lo skateboard, pattinare su ghiaccio o rotelle e sono sicuro che potrebbero piacermi anche altre forme che non ho ancora provato, tipo il volo a vela o il wake board)
Dopo essermi laureato, il mio primo lavoro mi piaceva molto, ero il responsabile della manutenzione in un impianto di trattamento rifiuti innovativo. Lavoravo 70 ore a settimana (lavoravo per mia scelta anche il sabato) ed ho rasentato il burnout. In pratica non ero in grado di dire “basta” al lavoro.
Pensavo che il problema fosse il lavoro e così lo ho cambiato (solo dopo ho imparato che NON era così), perciò sono andato a fare il tecnico-commerciale in un’azienda metalmeccanica a conduzione familiare (seconda generazione). Gli orari erano più regolari e questo mi andava bene perché nel frattempo era nata mia figlia, così potevo starle vicino ed anche mia moglie ha avuto il tempo di avviare la sua attività, ma poi ho cozzato con il fatto che il mio modo di vedere il business non era allineato con quello dei 2 cugini proprietari dell’azienda: io ero più orientato al cliente e non riuscivo a fare a meno di voler risolvere i problemi del cliente e quelli nostri interni all’azienda.
Lo sbarramento del “Abbiamo sempre fatto così !” è stato il motivo per cui mi sono cercato un altro lavoro.
Sono quindi passato da un’azienda padronale del Veneto ad un’azienda nel settore automotive con più di 600 dipendenti e 35 anni di storia, che era da poco stata acquisita da una multinazionale.
Il lavoro qui era molto più strutturato e c’era la mentalità del miglioramento continuo. Essendo prima il capo reparto della manutenzione e poi del reparto fonderia (120 dipendenti), dal punto di vista lavorativo ho imparato TANTISSIMO e risultati si sono visti (indicatore dello scarto ridotto ad un terzo, indisponibilità degli impianti dimezzato) e questo lavorando su impianti e processo, ma anche tantissimo con le persone (questo mi ha sempre contraddistinto).
Prima ti ho condiviso che mia figlia è al primo posto delle cose importanti per me, io voglio il meglio per lei ed una delle cose di cui da lungo tempo sono convinto (perché l’ho vissuto in prima persona) è che sapere le lingue, ti apre la testa, scopri un mondo, non è soltanto una lingua, ma anche una cultura ed un modo di pensare, vivere e mangiare diverso dal tuo. In pratica espande ciò che conosci e percepisci possibile per te, ti dà più possibilità e ti rende curioso.
Volendo quindi che mia figlia imparasse bene l’inglese subito dalle elementari l’ho iscritta alla scuola europea dove faceva tutte le materie sia in italiano, che in inglese.
Il problema era che questa scuola non era sotto casa, quindi passava il pulmino della scuola a prenderla, ma noi eravamo quelli che abitavano più lontani dalla scuola. Quindi lei era la prima ad essere caricata alla mattina e l’ultima ad essere riportata al pomeriggio dopo scuola. Trequarti d’ora all’andata e trequarti d’ora al ritorno, in aggiunta alle ore di scuola.
Mia figlia, piccinina, era molto stanca per via di questa cosa, motivo per cui ho riorganizzato il mio lavoro, i miei collaboratori, il nostro lavoro di preparazione alle riunioni di produzione mattutine e le riunioni stesse, in modo tale da poter essere IO con la mia macchina ad accompagnare mia figlia a scuola.
E’ diventato un nostro rituale, un momento speciale per stare insieme soli io e lei, in cui chiacchieravamo e cantavamo (lo facciamo ancora adesso ogni tanto, nonostante lei sia quasi maggiorenne e vada a scuola a 10 minuti da casa 🙂 ).
Ciò che avevo notato in quel periodo quando partecipavo a corsi di formazioni in cui erano presenti altre aziende, oppure negli incontri annuali che facevamo con i colleghi degli altri stabilimenti europei e messicani del nostro gruppo, era che quasi tutti i capi reparto erano bravissimi TECNICI, ma non erano LEADER e non ci sapevano fare con le persone.
Quando il direttore di produzione è andato in pensione, mi hanno chiesto di prendere il suo ruolo.
Il passaggio da caporeparto a dirigente è stato sostanziale da diversi punti di vista:
- retribuzione
- macchina aziendale. Non ci dovevo più pensare, oltre non doverla più pagare.
- orizzonte temporale e salute mentale. Da capo reparto la mia attenzione era su cosa doveva accadere dal giorno seguente fino a circa 2-3 mesi, da dirigente è diventato dalla settimana successiva ai prossimi 2-5 anni. Con la fondamentale differenza che non vivevo più in presa diretta con il mio reparto che lavorava 7 giorni su 7, a ciclo continuo 24h. Quindi anche il fine settimana, in sottofondo, una parte del mio cervello era impegnato a pensare a come stesse andando il reparto e preoccupato che potesse succedere qualcosa. Era come uno di quei programmi del PC che corrono sempre in background ed utilizzano parte della memoria RAM. Quando sono passato a dirigente quel programma è stato chiuso e la quantità di energia e serenità che si è liberata è stata notevole.
- libertà di orari. Ho sempre lavorato tanto (ed ho continuato a farlo), ma non dover più chiedere il permesso a qualcuno per uscire o per arrivare più tardi, mi ha dato un senso di libertà e la possibilità di essere presente nelle piccole (e grandi) vicende familiari (life happens… ).
Soltanto 3 anni più tardi gli headquarter del gruppo mi hanno chiesto se volevo lavorare a livello di gruppo. Avevano notato che io non lavoravo soltanto sui problemi tecnici e sul processo, ma tantissimo anche con le persone e avevano finalmente capito che era impossibile ottenere risultati di eccellenza, senza lavorare anche con le persone e sull’organizzazione.
Quindi da allora posso decidere se lavorare da casa (maggiore presenza nella vita di mia figlia), dall’ufficio o in giro negli stabilimenti del gruppo per farli ottenere maggiori risultati.
Ho un lavoro SENZA ROTTURE di scatole ?
ASSOLUTAMENTE NO !
Qualsiasi lavoro porta con sé anche delle situazioni ed attività che non mi piacciono, ma sono riuscito a crearmi un contesto in cui le cose importanti per me hanno un alto grado di soddisfazione:
- sono presente nella vita di mia figlia e di supporto alla mia famiglia
- ho ampia autonomia, nel senso di libertà di decisione e di come gestire il mio lavoro e tempo
- Viaggio per lavoro, senza essere troppo lontano dalla mia famiglia (è rarissimo che sia fuori casa il fine settimana) e per piacere con la mia famiglia
- mi formo molto (parte della formazione me la finanzia anche l’azienda) e faccio molta consulenza
- e per quanto riguarda il gliding, beh l’hai già capito da diversi miei posts, non appena vedo che ci sono onde cerco di arrangiare le cose al volo per prendermele (e spesso mi riesce) 😉 🏄
Perché ti sto raccontando tutto questo ?
Sto condividendo il mio percorso non perché sono una persona speciale (non lo sono) o perché ho raggiunto chissà quali risultati, ma per renderti chiaro che la cosa che conta ti più sei TU e quello che vuoi TU… veramente.
E per quanto inverosimile possa sembrare, a volte non sappiamo cosa vogliamo veramente e non ci rendiamo conto che alcuni desideri ci sono stati instillati da altri, che in qualche modo hanno avuto un’influenza su di noi.
Altre volte abbiamo ben chiaro ciò che vogliamo, ma siamo bloccati perché non sappiamo COME ottenerlo.
Altre volte ancora sappiamo anche come ottenerlo, ma per qualche motivo non passiamo all’azione.
Infine c’è anche il caso di chi pensa di sapere come fare, passa anche all’azione, ma non ottiene i risultati desiderati.
Il punto è che se non stai ancora vivendo la vita “Your Way”, cioè alle TUE condizioni, sei bloccato in una di queste 4 fasi.
E in ognuno dei 4 casi, io posso aiutarti. Per una consulenza 1 a 1 con me, contattami.