In un post precedente ti ho raccontato come trovare un mentore e come comportarti con lui quando hai trovato una risorsa così preziosa e rara, MA non ho ancora condiviso con te IN CHE MODO un vero maestro può cambiare i tuoi risultati e la tua vita.
Avevo 14 anni ed ero a Trieste per una regata sulle barche a vela che vengono denominate 470. E’ una barca a vela a deriva (lunga appunto 4 metri e 70 cm) su cui si va in 2 persone. Era la prima stagione che regatavo su quel tipo di barche (prima andavo su una barca dove si andava da soli) e il mio ruolo era quello del prodiere, cioè quello che sta seduto più avanti e che con vento forte si deve attaccare ad un cavo d’acciaio (chiamato trapezio) collegato con la sommità dell’albero e sporgermi fuori dalla barca per fare da contrappeso all’azione del vento sulle vele. Contemporaneamente devo manovrare le vele di prua, cioè quella vela piccola a triangolo, quando si va in direzione del vento, e quella grande a palla, quando invece si va con il vento da dietro.
Alla fine di questa regata, per gioco, abbiamo fatto scambio di equipaggi con un’altra barca: in pratica io sono andata a fare il prodiere a Michele (ex campione italiano in un’altra classe) e il suo prodiere è andato con il mio timoniere.
Il vento era teso, arrivava a raffiche e c’era anche un pò di onda: in queste condizioni la differenza tra andare piano ed andare forte (ma anche tra rimanere dritti e a non rovesciarsi 😂) la fa la bravura dell’equipaggio e la loro coordinazione nei movimenti del corpo e la regolazione delle vele. È un continuo aggiustamento.
Per renderti l’idea: quando arriva un’onda da dietro, io devo spostare il peso in avanti, dobbiamo tutti e due tirare le vele, lui deve fare un leggero movimento del timone nella direzione del vento, questo fa sbandare la barca, per cui io devo sporgermi di più per aumentare il contrappeso e non appena la barca accelera, lui deve muovere leggermente (ma non troppo lentamente) il timone nella direzione opposta ed io devo spostare rapidamente il peso indietro (altrimenti la punta della barca finisce sotto acqua), ma non troppo.
Se sbagli qualcosa, nella migliore delle ipotesi la barca si pianta, nella peggiore con vento di quell’intensità finisci a gambe all’aria perché la barca si rovescia.
Ecco, io ero ancora poco pratico di questa barca, ma non so spiegarti perché, ma quel giorno io e Michele volavamo sull’acqua: facevo gli spostamenti avanti-indietro giusti e nei tempi giusti, accompagnati dalle manovre che facevo con la vela. Era per me una goduria fisica sentire la barca che partiva a planare sull’acqua, mentre gli unici contatti che avevo con la barca erano sotto i miei piedi (ero disteso fuori bordo attaccato al cavo d’acciaio) e nelle mie mani mediante la scotta per regolare la vela. La sensazione era così forte e bella che non mi importava che gli schizzi d’acqua salata, che la prua della barca a quella velocità formava, mi finissero dritto negli occhi ed in bocca.
Quel pomeriggio con Michele mi sono comportato come un professionista veterano e non era solo perchè lui faceva i movimenti giusti, ma (inspiegabilmente per me) li facevo giusti anch’io. E’ come se Michele avesse creato un contesto, uno stato, chennesò degli elettroni che sono passati per l’aria e mi sono arrivati e mi hanno fatto veleggiare come uno veramente bravo.
Quando stai in presenza di un grande, qualcosa comunque ti rimane attaccato. – Anonimo Condividilo su
L’utilità di un mentore/maestro/consulente sta nel fatto che lui ti fa sentire di cosa sei capace, non è una visualizzazione di testa: io quel giorno sentivo la barca partire sotto ai miei piedi, il trapezio tirarmi verso l’alto nel tratto lombare, il vento che mi strappava di mano la scotta, gli schizzi di prua che mi facevano bruciare gli occhi e le labbra. L’ho provato con il mio corpo.
In situazioni del genere in termini ESPERIENZIALI capisci cosa puoi fare, NON con la motivazione del “Tu puoi“.
Sia chiaro: poi ci ho messo 1 anno per rifarlo da solo con il mio compagno di barca abituale e non per inabilità sua, ma perché ho dovuto acquisire una sensibilità nel sentire la barca, il vento e il mio corpo per riuscire a fare gli stessi movimenti nei tempi giusti.
Un’esperienza simile mi è capitata 3 anni fa quando ho incontrato Simone Pacchiele quando mi ha “portato in posizione”, cioè quando mi ha portato a riaccedere ad una configurazione somatica come “quando sono al meglio” e in quello stato ho sentito nel mio corpo cosa volevo, non era una cosa di testa, una proiezione, ma proprio un sentire con tutto il corpo.
Oltre ad essere uno stato in cui sto bene e non c’è niente che mi manchi è uno stato in cui ho anche chiarezza su ciò che voglio davvero. Hai letto bene, sembra un paradosso ma è proprio così: quando non c’è niente che ti manchi, sai anche cosa vuoi veramente.
Ed avendolo provato, sentito fisicamente, sperimentato, lo sai da dentro e funge da attrattore per il futuro.
La vera trasformazione NON avviene “da dietro in avanti”, quando a tavolino fai una lista dei tuoi obiettivi e metti giù un piano in 7 passi per realizzarlo, MA quando qualcuno ti fa esperire un’anticipazione somatica di qualcosa che non è ancora presente e questo ti “tira da davanti“.